Alla ricerca della felicità, lo Zibaldone

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Innumerevoli pagine di pensieri, riflessioni e annotazioni accumulate negli anni, dubbi che né Leopardi né nessuno mai, rileggendole, ha saputo colmare.

Lo “Zibaldone dei pensieri” sarebbe potuto essere una raccolta di risposte, un trattato filosofico o letterario, sarebbe potuto essere una grande enciclopedia del sapere ma era e dovrà sempre essere un disorganico diario personale, un’opera mai nata a tavolino ma sotto le coperte di “casa Leopardi”. 

Tanti sono i grandi artisti e letterati nella storia che hanno lasciato ai posteri una loro opera che volutamente li celebrassero, un tentativo di creazione di quel sé ideale di cui innumerevoli volte la psicologia del ‘900 ci parla. Innumerevoli pittori, scultori e poeti tra i quali però fatichiamo a trovare Giacomo Leopardi. Segregato nella sua vita di studio e riflessioni, di pesanti privazioni, il giovane poeta non ha mai speso il proprio tempo a presentarsi diverso da come fosse, da come si percepiva e se in un primo momento pensò di dare una parvenza di linearità al suo essere, raccontato dalle tante parole scritte su fogli sparsi, preferì abbandonare il tentativo ed immedesimarsi nella confusione delle sue stesse pagine che diedero vita allo “Zibaldone”. 

Capita spesso ad ognuno di noi di ordinare più facilmente i pensieri altrui che i propri, di farci maestri di insegnamenti che siamo i primi a disattendere e proprio allo stesso modo Leopardi si trova a indicare una via alla felicità senza averla mai considerata raggiungibile per se stesso. Il giovane poeta scrive allo stesso modo dell’infelicità come legge universale ma è innegabile che il suo sia un pensiero in movimento, un eracliteo “panta rei” di teorie che compenetrano, si modificano e maturano nel tempo. Scrive che per dare senso alla vita bisogna porsi mete lontane e che questa sia l’unica via efficace verso l’attesa felicità, tace però riguardo alla possibilità di raggiungerla, soffermandosi esclusivamente al tempo che verrà. 

Sono troppe le condizioni da rispettare per rendere la felicità accessibile all’uomo, creatura che è obbligata a vivere rincorrendo piaceri illimitati potendone realizzare solo una minima parte. Proprio a causa di queste tante difficoltà, la società di oggi si tira indietro di fronte al minimo sforzo rivolto a qualcosa di superiore e si adagia sul godimento di un benessere istantaneo dalla breve durata. Una società corrotta dal “tutto e subito” che considera il tempo quantitativamente e non qualitativamente.

In tal senso vivere felici per Leopardi significa vivere per qualcosa, ma se una volta si parlava di “gloria letteraria” ad oggi la grande difficoltà è trovare quel “qualcosa”. Come possiamo sapere se l’obiettivo che ci prefiggiamo ci renderà felici? Dove possiamo trovare il coraggio per non distogliere mai l’attenzione dalla meta? Come fa un giovane a pensare così lontano? Il “Giovane Favoloso”, dopo più di 4500 pagine disse che l’unica soluzione è l’immaginazione, chi vuole concordi pure, oppure si armi di penna e fogli e inizi il proprio viaggio alla ricerca della felicità! 

Di Francesco Roberto Innocenzi

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Francesco R. Innocenzi

Mi chiamo Francesco Roberto Innocenzi, sono nato a Roma e studio Giurisprudenza. Dall’età di 14 anni mi impegno nel sociale e, fedele ai principi dell’etica, mi appassiona promuovere la Cultura in ogni sua forma!
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