Ecco un attore che riesce molto bene a fare il suo lavoro anche dietro la macchina da presa. Si tratta di Michele Riondino, classe 1979, alla Festa del Cinema di Roma in una duplice veste.
Come protagonista della serie Disney I Leoni di Sicilia e nel suo primo film da regista, PALAZZINA LAF, un’opera tanto modesta, nel senso positivo del termine, quanto straordinaria.
Senza proclami ridondanti Riondino riesce in toto nella sua impresa di portare all’attenzione del pubblico un tema tutto italiano, quello delle acciaierie più importanti d’Europa, e di uno scandalo avvenuto all’interno dell’organizzazione subito dopo l’acquisto della fabbrica tarantina da parte della famiglia Riva.
La Palazzina LAF, Laminatoio A Freddo, da cui si trae il titolo del film, è un luogo veramente e tristemente esistito dove il personale d’ufficio in esubero era stato confinato senza mansioni, senza mobilio, senza strumentazione alcuna affinché cedesse all’offerta della dirigenza di rassegnare le dimissioni o accettare un cambio di contratto, da impiegatizio a operaio.
Questo mobbing durato diversi mesi, alla fine degli Anni Novanta, ha ispirato il regista, che è anche il protagonista della storia, insieme ad un sempre eccezionale Elio Germano nel ruolo del dirigente tagliatore di teste.
Con semplicità ed assoluta efficacia Riondino, che è anche sceneggiatore del film, racconta l’evento attraverso gli occhi di un operaio di belle speranze io quale, pur di migliorare la propria situazione personale ed economica, accetta di essere trasferito nella palazzina dismessa per fare al dirigente un resoconto periodico di ciò che avviene fra i dipendenti esiliati.
Ogni tentativo di ribellione, grazie alla delazione di Caterino, questo è il nome dell’operaio, viene affossato prima di poter diventare esecutivo fino al giorno in cui l’inevitabile si avvera. L’onda emotiva prodotta da ogni stratagemma per evadere dalla situazione di stasi e dalla sua conseguente, tentata sovversione, travolge sia i ribelli che gli spettatori in un gioco di profonda incertezza.
L’idea geniale è costruita minuziosamente pezzo per pezzo.
Sullo sfondo degli accadimenti Riondino, tarantino di origine, fotografa una zona portuale e industriale del mezzogiorno abitata da una comunità laboriosa, seppure vittima di un ambiente malsano, il più delle volte rassegnata a correre nella ruota del criceto per generazioni e senza via di scampo.
Il regista tuttavia non toglie dignità alla classe lavoratrice, anzi, la toglie piuttosto ai capi disegnandoli con tratti viscidi e squallidi, piccoli esseri disumani che girano per lo stabilimento tronfi e su mezzi sgangherati, persone che credono di contare qualcosa ma, alla resa dei fatti, finiranno, anche loro, nel buco nero dell’indifferenza se non verranno chiusi dietro le sbarre.