È andata in ristampa dopo solo due settimane dalla sua uscita la silloge “La Facitrice” di Ilda Tripodi edita da Iride Rubbettino.
Ilda Tripodi, poetessa ma anche critica letteraria, giornalista, conduttrice, insegnante, ha suscitato da subito i commenti molto positivi di due poeti conclamati come Dante Maffia e Corrado Calabrò che ne hanno curato prefazione e postfazione.
Il primo ha colto “l’occhio tormentato della poesia che fa di tutto per nascondersi proprio in quelle ombre riflesse che sanno tessere colloqui importanti perfino con Dio”.
Per Maffia “le sillabe raccolgono nel loro grembo la vita e la morte, l’amore e la verità di Dio, il fluire del tempo, la dissolvenza dei significati, l’acquisizione e il raggiungimento degli enigmi”.
Per Calabrò, invece, è l’insofferenza a rendere irreprimibili i versi della Tripodi; insofferenza per il “ dejà vu e il dejà vècu”; della routine della quotidianità, anticamera dell’inconsistenza; della routine dell’amore, anticamera del rattrappirsi dell’innamoramento; del dire vacuo, dell’usura, del depotenziamento della parola, incapace di esprimere le vibrazioni dell’animo”.
“La facitrice” apre una finestra molto importante nel panorama letterario italiano e nella poesia al femminile che in Calabria ha avuto le sue massime espressioni in Ermelinda Oliva, Alba Florio e Gilda Trisolini.
I versi di questo libro, definiti dalla stessa autrice, ”non innocui” si spingono nel cuore dell’esistenza per rappresentarne le contraddizioni, le sofferenze, le difficoltà, ma anche l’anelito alla conquista di una nuova armonia e del necessario rasserenamento. Il testo non è mai banale, mai aggressivo, mai stentoreo. Ha un taglio illuminante e discorsivo. È ricco di vibrazioni rigeneranti attraverso le quali è possibile cogliere il rimescolamento interiore della poetessa, le urgenze che cercano l’occasione di una liberazione, di una rinascita. Il linguaggio spazia dentro sentimenti noti all’animo umano, dal disagio, all’incertezza, al desiderio di vita e di amore a volte ansiosi di toccare le vette più alte di ogni possibile suggestione, di ogni possibile catarsi.
La poesia di Ilda Tripodi cerca sempre nuove strade, nuove occasioni per testimoniare la sua evoluzione, l’ansiosa ricerca del sé migliore. Un viaggio svolto senza presunzioni, senza enfasi, semmai con umiltà, con pudore. Le strade della poesia, del verso trasparente, del resto, non possono che vivere dentro un disegno superiore, con un approccio docile e privo ambiguità; richiede un filtraggio che deprivi il tutto da ogni sovrastruttura superflua.
Tutto questo è accaduto. Con i suoi versi la Tripodi consegna al lettore il segno di una continuità culturale tra mito e sogno metastorico ma anche il dérèglement di una cronaca poetica nuda e cruda.
Per la Tripodi alla poesia non possiamo sottrarci perché è il culmine del linguaggio esistenziale e resistenziale. E i suoi versi vorrebbe fossero intesi come un’unica grande parola, una parola mediterranea che sta in media res e si nutre della convivialità di volti rivolti verso il mare nostrum che custodisce una cultura improsciugabile.